Il terzo spazio

Terzo spazio è il termine che uso per definire un luogo dove convergono le tante persone che non hanno un’unica appartenenza identitaria con la quale convivere, ma diverse. Un incrocio, che permette di essere esploratori di due (o più) mondi, che coesistono dentro le esperienze individuali di ognuno di noi. Esiste anche una teoria del terzo spazio attribuita a Homi K. Bhabha: teoria sociolinguistica postcoloniale sull'identità e sulle comunità dove l'unicità di ogni persona, attore o contesto viene descritto come un "ibrido". 

L’ Italia è da sempre un crocevia di culture ibride che si sviluppano in sottoculture che successivamente prendono il posto della precedente: quello che di nuovo abbiamo da imparare è il rapporto attuale di questa con il mondo intero.

Sono tante le combinazioni che hanno portato l’Italia nel mondo e (ri)portato il mondo in Italia. Guardando più da vicino, ma senza voler definire tutti i casi, troviamo ad esempio gli Italiani cittadini del mondo i cosiddetti third culture kids, che per aver viaggiato oppure per aver vissuto in diversi paesi sin da bambini si sentono diversamente Italiani; c’è chi invece è parte di una famiglia che abbraccia diverse nazionalità e lingue e le sente tutte parti integranti di sé, oppure chi arriva nel belpaese e se ne innamora piantando le proprie radici, ma senza rinunciare alla cultura di origine. In questi casi non è  il colore della pelle a spingere milioni di persone a confrontarsi con il dilemma interiore: “Chi sei? Da dove vieni?”

Domande sempre difficili da affrontare, specialmente perché si confrontano con una società che non ha sviluppato gli strumenti per integrare e tradurre la cultura in cultura dell’inclusione. 

Come per il Terzo settore che si separa concettualmente dallo Stato (pubblico, primo settore) e dal Mercato (privato, secondo settore) favorendo un equiparazione dei tre settori come società complessiva, anche il terzo spazio lo si può contrapporre ad altri due ambienti, uno caratterizzato dalla tradizione storico culturale di un paese, e l’altro da quello burocratico che essendo stato generato dal primo non è sempre al passo coi tempi e divide la società tra chi è meritevole e chi no.

Un lasciapassare identitario è solitamente concesso a chi rientra o a chi assume i canoni culturali dominanti, mentre tutti gli altri vengono ghettizzati oppure classificati come estranei.  

L’imperialismo che ha portato allo sviluppo di quei sistemi di assimilazione culturale e razziale che oggi, anche se non direttamente applicati dalle istituzioni, sono sempre suggeriti dalla convenzione culturale, portano chiunque non rientri nella norma ad avere enormi crisi identitarie.  Si esortano queste persone in modo più o meno subliminale ad individuarsi all’interno di uno schema predefinito, che spesso porta a minimizzare o sacrificare una parte della propria storia per poter far parte integrante della società. Così facendo si tagliano quei ponti fondamentali per ognuno di noi, per riconoscere l’identità unicamente soggettiva che diviene l’elemento imprescindibile per scrivere una storia oggettiva che tiene conto di tutte le voci nel coro.

Essere parte dei luoghi, delle storie, delle regole, degli eventi e delle tradizioni definisce sicuramente le cose che facciamo o che amiamo fare, spiegando perché scegliamo qualcosa e non qualcos’altro, ma non definisce in modo assoluto chi siamo.

Da un punto di vista puramente soggettivo non esiste un limite alla complessità umana, dunque delimitare i confini all’identità è oltremodo assurdo. Essere diverso ‘quanto basta’ non è possibile quanto essere Italiani al 100%.

Per questo, il terzo spazio è di per sé sconfinato e abbraccia un tessuto sociale eterogeneo definito dai moti della globalizzazione. Una dimensione immaginaria che offre rifugio a chiunque non si senta rappresentato dalla narrativa granitica dominante. Questo porta alla creazione di una vera e propria terza cultura che non ha confini geografici e che oggi vanta eccellenze, eroi, visionari ma anche moltissimi incompresi. Diffidati da quelle società di sistemi o persone, che portano avanti il contenitore culturale e sociale di un paese, senza accorgersi che il contenuto è definitivamente cambiato. Focalizzarsi sull’eredità storica o sulla tradizione equivale a vivere di memorie che, se pur meravigliose, sono sempre memorie di un tempo che non c’è più. Il suggerimento non è quello di perdere di vista il passato e l’enorme eredità che lascia, bensì trovare chi se ne innamori e lo faccia suo.

Se avessimo gli strumenti per accogliere il ‘diverso’, sinonimo spesso usato al negativo per indicare una ‘novità’, avremo anche le soluzioni per implementarne il valore aggiunto all’interno della società, mentre oggi siamo sistematicamente portati a sottolineare le nostre differenze unicamente per metterci a confronto.

Ora come ora il terzo spazio è più chiaramente espresso dalla rete, poichè si sviluppa a metà tra il primo spazio, quello fisico, e il secondo spazio, quello remoto, permettendo a diversi utenti di abitarlo liberandosi dalle logiche dell’identità definita dai confini geografici ed evolvere con esso. 

La ricerca di sé è un diritto fondamentale, un processo che deve essere libero, privo di costrizioni e condizionamenti, perché ognuno di noi è il risultato di un lungo cammino che non si può fermare e che solo noi possiamo tracciare.


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