Radici profonde: come l’India è riuscita a far sopravvivere la propria cultura nel periodo coloniale

“The sun never set on the British Empire,

because even God couldn't trust the English in the dark.”

L’inizio della colonizzazione

A partire dalla scoperta dell’America nel 1492, e con l’invenzione delle navi transoceaniche capaci di navigare grandi distanze, per i Paesi occidentali fu possibile raggiungere nuovi territori e attuare la cosiddetta colonizzazione, cioè l’atto di mostrare la propria sovranità in maniera coercitiva nei confronti di un’altra popolazione. In India, questo processo iniziò con un’iniziale penetrazione fondata su rapporti commerciali con le élite del Paese, e poi proseguì con numerosi atti di violenza.

L’impero britannico partecipò senza esitazione alla tendenza del secolo e si stanziò su vari territori, fino a costruire un impero così vasto che su di esso “il sole non tramontava mai”. L’India, purtroppo, fu uno di questi territori e, prima ancora dell’arrivo degli inglesi, fu occupata dall’impero portoghese e, successivamente, anche dagli imperi olandese, austriaco, e giapponese.

La colonizzazione più significativa, tuttavia, rimane quella dell’impero britannico, sia per l’impatto culturale che per la durata. Iniziò tutto nel XVIII secolo con l’arrivo della British East India Company che, inizialmente, aveva stabilito un rapporto di tipo commerciale ma poi iniziò ad espandere il proprio controllo sulla penisola indiana sollecitando guerre e trattando con l’élite del Paese; l’impero inglese rimase così sul suolo indiano fino al 1947.


L’India prima dell’arrivo degli inglesi

L’origine immediata dell’espansione occidentale fu possibile grazie all’invenzione delle navi transoceaniche (capaci di navigare per grandi distanze) e grazie alle capacità militari. Samuel P. Huntington, politologo esperto di politica internazionale,  individua come fattori dell’espansione occidentale anche la crescita economica (rivoluzione industriale), l’organizzazione giuridica (sistema westfaliano), il ruolo delle ideologie (comunismo, socialismo ecc.) e la violenza organizzata.

Nel 1700, prima dell’arrivo degli inglesi, l’India era in realtà il Paese più ricco del mondo rappresentando circa il 27% del PIL mondiale, mentre nell’anno della sua indipendenza dai colonizzatori, nel 1947, rappresentava solo il 3% del PIL mondiale. Vantava una delle università più antiche al mondo: era la terra di grandi filosofi e pensatori, e proprio qui nacquero l’induismo e il buddhismo. L’India era famosa per l’esportazione di tessuti pregiati come la seta, per l’artigianato e per le spezie. Il settore agricolo era più sviluppato rispetto all’Europa grazie all’uso della seminatrice di grano.

Anche la società, si potrebbe dire, era più avanzata rispetto a quella inglese. Ad esempio, era riconosciuta l’esistenza di un terzo genere diverso dall’uomo e dalla donna. Il dialogo sulla sessualità poteva essere condotto anche dalle donne e non era considerato tabù parlare di argomenti riguardanti la sfera sessuale.

L’India era quindi un Paese estremamente ricco anche dal punto di vista culturale. 

Sorge dunque spontanea la domanda, come riuscì la Gran Bretagna a conquistare un Paese così ricco


L’espansione britannica

Come accadde anche in altri Paesi colonizzati, i coloni iniziarono a creare e istigare divisioni all’interno della società e, nel caso dell’India, venne alimentata una divisione tra i due gruppi religiosi più grandi: induisti e musulmani. Inoltre, al momento dell'arrivo della British East India Company in India, il regime Moghul, dinastia imperiale Indiana di origine musulmana che regnò sull’Asia meridionale per circa tre secoli, si stava disintegrando per varie cause: ogni volta che un re moriva, per stabilire chi gli sarebbe succeduto, i fratelli del re si scontravano in una guerra per ottenere il trono. 

L’ultimo regno di successo dell’impero Moghul fu quello di Aurangzeb, che aveva regnato dal 1658 al 1707, rendendo l'economia dell’impero il più forte del mondo e instaurando la Shari’a (la legge del Corano). I re successivi furono semplicemente ossessionati dal potere e per questo si preoccuparono più del mantenimento della loro posizione privilegiata che del regno. Inoltre, sempre a causa di questa ossessione per il potere, i re iniziarono ad assumere atteggiamenti che andavano contro l’Islam, la loro religione, a favore di un declino culturale, morale e intellettuale perdendo, quindi, il supporto e la fiducia che i re precedenti avevano instaurato con gli indiani. Questo disinteresse dei re portò dunque a un indebolimento dell’esercito e a una crisi economica. 

Con il declino dei Moghul, l’impero iniziava a essere sempre più frammentato e gli inglesi approfittarono della situazione, riuscendo a ottenere il controllo del Paese con l’aiuto di alcuni gruppi elitari indiani corrotti. Gli indiani furono dunque complici della loro stessa oppressione, poiché gli inglesi non avrebbero mai potuto governare l'India senza la complicità delle persone locali. 

I coloni inglesi giustificarono il loro intervento dando un’immagine degradata dell’India, così che il mondo intero potesse credere che gli indiani avessero effettivamente bisogno della mano salvifica dell’Impero britannico per calmare la situazione politica e sociale. Infatti, come si può vedere anche dall’immagine, venivano mostrate quasi sempre le rovine e il degrado e non veniva mai esplicitata la ricchezza di cui realmente godeva l’India. Il Taj Mahal era solo una delle tante opere architettoniche costruite nel periodo coloniale, ma anche quest’opera, che è una delle sette meraviglie del mondo, veniva comunque raffigurata in un contesto di decadenza. 

Oltre alle immagini di paesaggi dall’aspetto decadente che venivano diffuse, venivano rafforzati anche gli stereotipi razzisti sulla popolazione indiana, con immagini che dipingevano l’uomo bianco come il salvatore e gli indiani come un popolo rozzo che non sarebbe mai sopravvissuto senza la mano santa dei colonizzatori.

È ben evidente, quindi, come fin dall’inizio l’Occidente, abbia usato e continui tuttora a usare una comunicazione basata fortemente sull’uso della pornografia della povertà e sul mito del “salvatore bianco” o “white savior” quando si tratta di mostrare Paesi non occidentali. Questo tipo di narrazione fortemente eurocentrica iniziò a diffondersi proprio nel periodo coloniale. I colonizzatori occidentali comunicavano tramite manifesti, pubblicità e giornali come le popolazioni colonizzate fossero “inferiori” e “incivili”, costruendo così un'immagine falsata di questi Paesi, la cui cultura veniva travisata e descritta con occhi occidentali. Sminuire le popolazioni colonizzate serviva così a giustificare l’insediamento e lo sfruttamento delle loro risorse, e questo tipo di narrazione persiste ancora oggi nei confronti di molte popolazioni non occidentali.  


La resistenza indiana

Molti leader e movimenti indiani promossero la resistenza culturale contro l’oppressione coloniale. Per questo, nonostante il regime britannico sia durato per quasi un secolo nel territorio indiano, il Paese riuscì a mantenere una sua identità a 360 gradi: culturale, religiosa, linguistica e culinaria. 

La particolarità della resistenza indiana è che avvenne tenendo stretta la propria cultura. Uno dei primi movimenti di resistenza fu lo Swadeshi Movement, che durante il periodo di lotta per l'indipendenza incoraggiava la produzione e il consumo di prodotti indiani, promuovendo così la cultura locale. 

Il movimento nacque nella metà del XIX secolo nella regione del Bengala e si diffuse in tutto il Paese, incoraggiando il popolo indiano a boicottare i prodotti britannici. Successivamente, altri movimenti presero spunto dal movimento Swadeshi, tra cui il movimento guidato da Mahatma Gandhi, chiamato Satyagraha.

Grazie a questi movimenti di resistenza, gli indiani riuscirono a far rinascere le industrie del proprio Paese e a danneggiare in maniera significativa il commercio inglese smettendo di acquistare i prodotti di lusso come il sale e lo zucchero, che venivano anche bruciati. Inoltre, tutti coloro che si opponevano al movimento erano sotto attacco, quindi anche i rivenditori di prodotti occidentali venivano ostracizzati. 

Il movimento riuscì a consolidarsi e a diffondersi anche grazie alla musica e all’arte. Uno dei più importanti poemi della resistenza indiana, ad esempio, è Vande Mataram - “Io ti lodo, madre” in bengalese - scritto nel 1870 da Bankim Chandra Chattarjee. Il poema è un inno alla Bhārat Mata, personificazione dell'India e considerata madre del popolo indiano.

Il boicottaggio e lo sciopero, come detto, presenti fin dall’inizio nei movimenti, continuarono a caratterizzare la resistenza indiana fino agli ultimi anni della colonizzazione, rendendo emblematica in tutto il mondo la liberazione non violenta guidata da Gandhi. 

Falò di vestiti inglesi. Jain P., Boycott British Goods Labels, Indian Numismatic, Historical and Cultural Research Foundation, 30 July 2021

La diversità: un punto di forza

Un altro punto cruciale che rese l’India impenetrabile all’influenza culturale inglese fu proprio la sua diversità.

L’India è da sempre un Paese eterogeneo, con più di 1600 dialetti parlati in tutto il Paese. Oltre all’eterogeneità linguistica, sono rilevanti anche quella religiosa e culturale: ogni regione indiana vanta di un bagaglio personalissimo di tradizioni legate a una specifica etnia, religione e lingua, ma anche semplicemente legate al cognome e agli antenati. Per questa ragione gli inglesi ebbero molta difficoltà a penetrare completamente nelle culture indiane. 

Per questo motivo, nonostante l’imposizione linguistica da parte degli inglesi, la colonizzazione britannica non riuscì a cancellare le numerose lingue esistenti nella penisola indiana anche se, purtroppo, alcune sono effettivamente scomparse. 

L’impero britannico, paradossalmente, aiutò in un certo senso a consolidare ancor di più l'identità culturale. Uno degli interventi più significativi riguarda il sistema delle caste: prima della colonizzazione gli induisti di caste minori potevano ambire a caste di maggior prestigio, ma con l’intervento inglese questa flessibilità venne meno a favore di un sistema che distingueva in maniera marcata le classi povere da quelle più ricche. Ogni casta aveva un proprio sistema tradizionale che con l’intervento inglese si è consolidato tanto da rendere il legame con la propria cultura ancora più forte.


L'induismo al di là della religione

Dal punto di vista della religione, l'India è uno dei pochi Paesi colonizzati che non è stato convertito per la maggioranza al cristianesimo e questo è dovuto al fatto che nel Paese erano e sono presenti diverse religioni. 

Come visto prima, gli inglesi cercarono di mettere in contrasto le due religioni più praticate, Induismo e Islam, però anche in questo aspetto non riuscirono creare una divisione molto radicata. Inoltre, è importante ricordare che prima della colonizzazione l'induismo era considerato più una filosofia che una religione: la sua tradizione epica attirava tutti senza distinzione etnica o religiosa e fu tramandata per generazioni. Un esempio è il testo sacro Ramayana che narra la storia di Rama, uno degli avatara - ossia la forma terrena assunta dalle divinità - di Visnu, divinità dell’induismo. Questi poemi sacri erano conosciuti in tutta l’India, senza distinzione etnica o religiosa. Questa diffusione e mescolamento di tradizioni e culture rendevano ancora più unica la cultura indiana. Tutta la tradizione artistica e culturale fu tramandata per generazioni.

Una donna indiana originaria della regione di Assam, nel Nord-Est dell’India

Il processo di “indianizzazione” 


Da questo breve approfondimento è chiaro come l’India sia un Paese con una storia incredibilmente complessa e affascinante, e che grazie alla sua diversità e resilienza è riuscito a mantenere salda la propria cultura anche abbracciando i cambiamenti imposti dall’impero britannico.

Nel corso dei secoli, princìpi come sposarsi al di fuori della propria cerchia familiare immediata, vivere in una famiglia molto unita, prendersi cura degli anziani e dei giovani, condividere il reddito familiare per il benessere di tutti, celebrare le feste e osservare i rituali legati al cognome e che portano il nome della famiglia, sono gli elementi che hanno influito nel mantenimento della cultura. 

L'antico sistema economico Jajmani, che consente ai gruppi sociali di rimanere legati gli uni agli altri attraverso lo scambio di servizi, beni e doni, ha anche fornito una base unificante per la prosperità della società e della cultura indiana. Il "senso di collettivismo" che si trova in un villaggio indiano è in gran parte dovuto alla costante osservanza di questo sistema. Senza di essa la società indiana non avrebbe potuto superare i tumultuosi cambiamenti che ha attraversato nella sua lunga storia.

Il popolo indiano, mantenendo salde le proprie radici, al contrario di altri Paesi colonizzati è riuscito ad “indianizzare” la cultura occidentale dei colonizzatori.

Bibliografia

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  • Oldindianphotos.in, Portraits of Tribal men and Women – Assam and North East India Part 1

  • Bongiovanni, B., Colonizzazione. Treccani, Enciclopedia dei Ragazzi, 2005. 

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