ll sistema di qualificazione olimpico può essere discriminatorio?

Qualificarsi alle Olimpiadi non è facile.

Questo lo sanno tutti: ogni bambino che sogna di andare alle Olimpiadi sa che dovrà allenarsi tantissimo tempo e con tutte le sue forze. Ma siamo sicuri che tutti i bambini, una volta divenuti atleti, avranno le stesse opportunità di parteciparvi?

È chiaro che, nella vita di un* atleta contano impegno, talento, fortuna e soldi: tanti soldi. A meno che non si tratti di giocator* di calcio, basket, hockey, a seconda del Paese di provenienza, e non in tutti gli sport "girano" tanti soldi.

Ma se non fosse solo un problema di soldi? Se qualcun* un giorno avesse deciso che alcuni stati dovrebbero occuparsi di mandare alle Olimpiadi atleti per gli sport che più si confanno alla geografia dei Paesi stessi?

Ad un certo punto, tra fine anni Ottanta e primi anni Novanta, qualcun* ha deciso che l’accesso alle Olimpiadi invernali non avrebbe più dovuto essere universale, cosa che si scontra con il fatto che i giochi olimpici  sono un momento in cui tutti i Paesi del mondo mandano i loro migliori atleti per fare del loro meglio e combattere una partita sportiva che va al di là di ogni divisione sociale, etnica o geografica. Per questo motivo il motto decoubertiniano “l’importante è partecipare” è così importante: non tutti debbono nascere vincitori ma tutti hanno il dovere di fare del loro meglio.

Senza preoccupazioni per quello che si sarebbe tradotto in uno snaturamento dello spirito olimpico, in particolare per i giochi invernali, sono stati introdotti dei limiti molto stringenti, tanto che per qualificarsi nel freestyle (salti ed evoluzioni con sci e snowboard) è necessario rientrare tra i primi 600 atleti al mondo e per lo sci alpino è necessario avere un punteggio non inferiore ad un dato livello che viene fissato per ogni Olimpiade, in base a quanti atleti di Paesi non alpini sono riusciti a qualificarsi l’edizione precedente (più se ne sono qualificati più difficili saranno le condizioni di qualificazione).

Ma come mai c’è una differenza così diversa tra i sistemi di qualificazione?

Sicuramente un motivo si trova nel fatto che per alcune categorie, come lo sci alpino, ci sono stati atleti, di nazionali piccole e magari non alpine, che forti della loro passione e obiettivo hanno protestato, puntato i piedi e posto domande scomode: al fine di ripristinare un accesso libero alle categorie. Considerato che la limitazione è stata imposta per motivi che vanno al di là dei motivi tecnici è normale che, a suon di polemiche e rimostranze, siano stati modificati i criteri dimostrandone la mera sommarietà.

Potete immaginare la sorpresa del Presidente della Federazione Sci del Senegal quando, nel 2001 a fronte delle sue rimostranze per l’inserimento di limiti estremamente stringenti alla partecipazione al gigante olimpico, si è sentito rispondere dal CIO (il comitato Olimpico) che “per ragioni geografiche e climatiche i giochi olimpici invernali non sono adatti a certi paesi del mondo” .

Se da un lato sicuramente è importante affrontare le sfide con una certa preparazione fisica e tecnica, dall’altro dire che per motivi geografici alcune atlete e alcuni atleti non sono idone* a partecipare allo spirito olimpico è un abominio.

Su insistenti richieste degli atleti e delle atlete e delle federazioni, il CIO ha introdotto negli anni un sistema di “borse di allenamento “ chiamate Olympic Solidarity che però non sono minimamente sufficienti a coprire le spese che un atleta deve affrontare per prepararsi e gareggiare alla ricerca del raggiungimento del punteggio che permette di partecipare alle Olimpiadi Invernali e men che meno di rientrare tra i primi  al mondo di una disciplina.

A volte, anzi purtroppo spesso, questi soldi non finiscono in mano all’atlet* ma ai comitati nazionali poco trasparenti. Ecco qualche esempio attualissimo:

Sabrina Simader: atleta della federazione del Kenya stanziata in Austria, con partecipazioni ai mondiali e in Coppa del Mondo, quest’anno non parteciperà alle Olimpiadi, perché non ha ricevuto soldi da parte della Federazione e per i troppi pochi sponsor. Sabrina è solo l’ultimo caso di un’atleta che non ha potuto prepararsi alle Olimpiadi per motivi legati ai fondi, ma è anche un caso particolare: lei scia da quando è bambina e ha potuto contare su coordinate geografiche favorevoli visto che è cresciuta in Austria.

Chi invece ha staccato il suo biglietto è  Mialitiana Clerc, sciatrice del Madagascar nata in Madagascar, ma adottata da una famiglia francese dove tutt’ora vive. Il suo è stato un viaggio di avvicinamento composto di sponsor e supporto di una federazione onesta che non ha nascosto i seppur pochi fondi della FIS (Federazione Internazionale sci e sport invernali).

Che differenza c’è tra queste due atlete che hanno entrambe frequentato la Coppa del Mondo? La fortuna: infatti se da un lato una delle due vive vivere in un Paese dove riesce ad ottenere supporto e sponsor, perché la sua diversità è vista positivamente e con la naturalezza di uno stato come la Francia che, nel bene e nel male, ha sempre avuto stretti contatti con l’Africa, l’altra vive in un Paese dove lo sci è religione e probabilmente, magari in maniera non troppo velata, qualche sponsor ritiene che non tutte le nazioni siano alla partecipazione ai giochi olimpici invernali.

Ma allora tutti quegli atleti, per lo più uomini, che parteciperanno alle gare di sci alpino, provenienti da Paesi non alpini come hanno fatto a qualificarsi? 

In questa situazione dove contano la fortuna e gli sponsor  si apre lo spazio a chi è disposto a tutto pur di partecipare. Un atleta, anche di un buon livello, finanziato con importi irrisori, senza grandi sponsor, come può sperare di partecipare alle olimpiadi per rappresentare il proprio Paese?

La risposta è dipende. Se è una persona onesta farà del suo meglio e dovrà piegarsi al fatto che un'istituzione abbia deciso per lui che è inadatto geograficamente alla partecipazione dei giochi olimpici.

Una persona disonesta e munita di portafoglio troverà molte, forse anche troppe scappatoie. La storia è sempre la stessa e nasce nel momento in cui vengono posti dei paletti  senza senso, solo per il “gusto” di limitare l’accesso a “persone che per motivi geografici non dovrebbero partecipare”  perché se avessero voluto mettere limitazioni finalizzate a garantire un alto livello dei partecipanti, cosa che comunque fa a pugni con lo spirito olimpico, avrebbero fatto come nel freestyle: chiedendo solo atleti all’interno di un certo ranking senza nemmeno citare la questione “geografica”.

Lo si è visto in pratica durante le qualificazioni di Sochi dove la sportiva thailandese e  superstar della musica classica internazionale, la thailandese Vanessa Mae era stata coinvolta in uno scandalo di gare molto poco trasparenti grazie alle quali aveva staccato il biglietto per partecipare allo slalom gigante di sci alpino alle Olimpiadi di Sochi 2014.

Anche quest’anno, probabilmente a fiaccola spenta, emergeranno le irregolarità con cui alcuni atleti e atlete hanno raggiunto il punteggio necessario, ma d’altronde queste sono sotto gli occhi di chiunque sia del settore.

La questione è la solita e ben nota: se vengono introdotte delle limitazione motivate a livello tecnico e di sicurezza possono essere discusse con razionalità e adattate in base alle esigenze tenendo conto anche dello spirito olimpico, se invece vengono poste solo perché si ritiene che alcune persone non debbano prendervi parte ci troveremo sempre davanti a regole illogiche e raffazzonate dove alla fine otterranno il loro posto i disonesti muniti di portafoglio.

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