Non è mai troppo presto per cambiare: intervista a Kibra Sebhat
Il dibattitto sulla diversità e l’inclusione delle minoranze può sembrare notizia di ieri, anche se in realtà se ne parla gia da anni. Ma prima di allora? La risposta a questa domanda - per fortuna - non è che le minoranze non avessero alcun modo di accedere a posti di lavoro di rilievo. Certo però era normalizzata l’idea che dovesse essere un’impresa, nonostante le giuste competenze su CV.
Vincitrici e vincitori in questo periodo erano e sono tutt* coloro, che hanno deciso di non curarsene e inseguire i propri sogni: come ha fatto Kibra.
Raccontaci un po’ di te
K: “Mi chiamo Kibra Sebhat, sono nata a Rovigo, in Veneto, ma abito da sempre a Milano. Questa è la mia città e la mia casa. Come mi definisco professionalmente: come una persona che fa comunicazione aziendale, che fa giornalismo, che fa video produzioni.”
Foto di Giovanni Gastel
Come sei arrivat* a scegliere questo percorso professionale?
K: “Da piccola volevo fare una scuola superiore che mi desse la possibilità di diventare presto indipendente. Nel corso dell'istituto tecnico che poi ho scelto c'erano materie molto diverse tra loro ma che nella mia mente, per istinto credo, avevano già un senso proprio perché accostate: geografia economica, diritto, comunicazione visiva, letteratura straniera, i principi del web, psicologia e sociologia. Tutto il resto è seguito in modo naturale.”
Se avessi più persone chi somigliano in questo ambito avresto scelto questa strada prima?
K: “Non saprei.”
Quando è stata la prima volta che hai raccontato una storia, che sentivi nessuno aveva ancora raccontato?
K: “Nel settembre del 2014 ho portato sul palco del Corriere della Sera la storia di Evelyne Afaawua, la fondatrice di Nappytalia, insieme alla giornalista Alessandra Coppola. Con Massimo Coppola, tra le tante cose regista e documentarista, abbiamo realizzato un breve documentario in cui abbiamo raccontato perché per una donna nera italiana portare i capelli al naturale, in stile afro, non era solo una rivendicazione estetica ma anche una ricerca identitaria. Negli altri paesi europei o americani il dibattito esisteva da tempo, ma in Italia ha preso forza da quel momento in poi.”
Com'è stato approcciare editor e riviste per farti pubblicare le prime volte?
K: “Io ho risposto ad un annuncio in cui si cercavano collaboratori per raccontare le seconde generazioni. Era il 2010. Dopo un paio di anni sono stata coinvolta nel progetto de La Città Nuova, all'interno del Corriere della Sera.”
Qual è un errore che i media tradizionali continuano a commettere che proprio non sopporti?
K: Il racconto della richiesta di riforma della legge sulla cittadinanza. Troppo poco spazio agli attivisti che se ne occupano in modo professionale e puntuale. E tutto sbilanciato sugli umori della politica, un giorno compassionevole (che non vuol dire riconoscere un diritto maturato - ci tengo a sottolineare diritto maturato - non un regalo) e l'altro arroccata sulla sua arroganza. I cittadini stranieri che vivono in Italia con i loro figli adempiono ai loro doveri, di conseguenza gli spettano i diritti che sono in grado di acquisire. Senza freni burocratici (quindi le regole sì, che tra l'altro nel tempo è previsto cambino insieme alla società che amministrano. L'abuso di potere no). Mi piacerebbe che la riforma venisse chiamata con il suo nome, riforma per la cittadinanza. Ius soli non è rappresentativo delle proposte di legge.”
Di cosa hanno bisogno i media tradizionali italiani per sopravvivere?
K: “A me pare che i media tradizionali sopravvivano più che bene, data la corazza che hanno costruito nel tempo. Sono più interessata alle nuove testate e alla loro capacità (o meno) di stare sul mercato, crescere e rimanere coerenti.”
Se il panorama intellettuale / giornalistico italiano fosse più inclusivo cosa credi cambierebbe drasticamente?
K: “Ti rispondo come donna italiana: gli stipendi. L'elefante nella stanza è il patto generazionale che nel nostro Paese non c'è: dai senior verso gli junior e viceversa.”
A chi vorrebbe scrivere come te cosa consiglieresti?
K: “Una preghiera, da recitare da soli o in compagnia: la verità è importante.”