Dopo due anni di restrizioni come stiamo?
Molto è cambiato e sta cambiando ancora, anche se sembra puntare a un ritorno alla normalità
Dopo le restrizioni degli ultimi due anni, stiamo finalmente iniziando a vedere la luce in fondo al tunnel: tutti i sacrifici fatti, sembrano aver finalmente portato a dei risultati e nonostante i tanti rinvii ci stiamo anche piano piano liberando delle mascherine. Certo, prima di poter arrivare a dove siamo ora abbiamo dovuto prendere dimestichezza con termini come pandemia, lockdown e distanziamento sociale che fino a qualche anno fa sentivamo soltanto in televisione o al cinema nei film di fantascienza. Il Covid ci ha messo e ci sta mettendo a dura prova sul lato fisico, ma anche psicologico, perché la quarantena – che ha distinto questo periodo – ha previsto misure restrittive a cui non siamo mai stati abituati: non andare al lavoro, la chiusura dei luoghi di svago, mantenere la distanza sociale, non poter abbracciare un* amic* o un* parente per la paura di poter contagiare o di essere contagiati, quando in momenti di difficoltà come questo, non c'è niente di più naturale che cercare l’abbraccio di una persona vicina o ritrovarsi con gli amici. Dover evitare il contatto fisico ci ha privati del conforto necessario in questo momento particolare. Le nostre abitudini sono cambiate e siamo stati catapultati in una realtà completamente diversa, dove spesso ci siamo sentiti soli. Una sensazione su cui è difficile fare previsioni a lungo termine, perché relativamente recente, ma che potrebbe lasciare tracce su di noi anche quando tutto sarà finito.
Non solo come individui ma anche come coppie o famiglie abbiamo vissuto un’esperienza particolare. La grandezza della casa ha avuto un peso determinante per i conviventi: chi viveva in una villa con piscina non ha avuto le stesse difficoltà di chi stava in un monolocale. Un fenomeno molto triste che ha caratterizzato quel periodo è sicuramente stato l’aumento di episodi di maltrattamenti nei confronti delle donne. Le coppie che invece non vivevano insieme hanno dovuto fare i conti con la distanza e adattarsi all’utilizzo delle tecnologie, con un conseguente boom del sexting. Gli equilibri di coppia sono già di per sé molto fragili e la pandemia li ha messi a dura prova, separazioni e divorzi hanno visto un aumento del 30% in questo periodo. Per far fronte a tutte queste difficoltà è sempre essenziale lavorare sull’intelligenza emotiva ovvero imparare a riconoscere le proprie e le altrui emozioni, denominarle e soprattutto gestirle.
Gesti quotidiani come fare la spesa, andare in farmacia, portare fuori il cane erano diventati gli unici momenti in cui si poteva uscire dalla propria abitazione, ormai fulcro della nostra nuova vita di restrizioni. Charles Darwin sosteneva che “non sopravvive la specie più forte o quella più intelligente, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”; ed è proprio in questa occasione che è uscita fuori tutta la resilienza di cui siamo capaci. A lavoro non potevamo andare? Abbiamo conosciuto lo smart-working. Non potevamo uscire per incontrare amici e parenti? Abbiamo organizzato degli aperitivi in video-call, ma anche corsi di pilates, compleanni e molto altro. La tecnologia ci ha aiutato tantissimo a ridurre le distanze.
Ogniun* ha adottato le risposte o meglio le strategie che riteneva migliori per sé. Si sa che nella stessa situazione ogni individuo reagisce in maniera differente. Quello che però ci accomuna tutt* è una forte capacità di adattamento, che in psicologia si definisce come il processo attraverso cui la persona si adegua all’ambiente, andando così a modificare i propri schemi. Nello specifico Jean Piaget – psicologo svizzero – parlava di assimilazione, ovvero la capacità di selezionare e incorporare le nuove esperienze a quelle già possediamo, e di accomodamento, cioè la capacità di modificare dei comportamenti e degli schemi già presenti. Durante questa situazione di emergenza siamo stati costretti a adattarci alle restrizioni. “Quando soffia il vento del cambiamento, c’è chi costruisce muri e chi mulini a vento” questo vecchio proverbio cinese descrive bene il concetto di resilienza, invitandoci a non provare a fermare il cambiamento bensì utilizzarlo a proprio vantaggio, soprattutto quando è inevitabile.
Ma tutto questo cosa avrà cambiato in noi? La frase che ripetevamo spesso durante i momenti più duri era “ne usciremo migliori”? È (stato) realmente così?
Prima di provare a rispondere bisogna aggiungere che sul piano governativo, ci si è concentrati su come intervenire da un punto di vista di salute fisica, mentre il benessere psicologico dell’individuo è passato in secondo piano, perché mettere le persone – userò un termine molto estremo – “in cattività”, seppur per un breve periodo non può non avere conseguenze. Per questo, abbiamo assistito a un aumento dei disturbi mentali e anche di ansia. Questo termine ansia non ha necessariamente un'accezione negativa. Mi spiego meglio, esiste l’ansia fisiologica adattiva (paura) che ci permette di scappare da una situazione di pericolo imminente, attivando meccanismi attacco-fuga che innescano reazioni fisiologiche come l’aumento delle pulsazioni e l’attivazione dei muscoli, ma quando questo meccanismo si attiva anche in circostanze di non pericolo, generando una reazione spropositata rispetto alla situazione in cui ci troviamo, possiamo parlare di ansia patologica disadattiva (ansia). Un esempio pratico di paura è quando ci troviamo di fronte a un leone, ovvero un pericolo imminente, mentre la preoccupazione per una malattia che non abbiamo e che potremmo eventualmente prendere, genera ansia. Si può ben immaginare come con la pandemia si siano acutizzati disturbi come questo per via del forte stress a cui siamo stati sottoposti. Ai miei pazienti dico sempre che “l’importante è affrontare nel modo giusto il momento sbagliato”. Però ci siamo talmente abituati a rimanere all’interno di una bolla di protezione, che in molti casi il ritorno seppur graduale alla normalità non è facile. Il segreto credo stia proprio nella gradualità: tornare alla nostra routine facendo un passo alla volta senza voler correre e strafare. É un po’ come andare in palestra: si inizia con una piccola serie poi si aumenta gradualmente.
In definitiva siamo migliorati o peggiorati?
Devo dire che come in ogni cosa ci sono stati aspetti negativi e positivi. Sicuramente negativo è stato l’aumento esponenziale delle violenze domestiche nei confronti delle donne, delle violenze messi in atto da giovani in varie città, delle violenze subite dal personale sanitario. Ma durante le difficoltà ci sono stati anche numerosi episodi di solidarietà e altruismo. Molte persone hanno aiutato chi si trovava in difficoltà e poi ci sono stati i pomeriggi in cui ci si dava appuntamento sui balconi per intonare l’inno o altre canzoni. È difficile parlare di un miglioramento o di un peggioramento in maniera generica e netta perché come ribadito ognuno di noi ha reagito a suo modo. Credo comunque che un vantaggio per tutt* ci sia stato: il tempo che abbiamo avuto per riflettere sulla nostra vita e la conseguente maggiore consapevolezza di quello che siamo e di cosa vogliamo.
Anche se le restrizioni stanno diminuendo, per molti è difficile liberarsi di determinate abitudini. Con il tempo riusciremo a tornare alla normalità, perché se c’è qualcosa che abbiamo imparato è la nostra capacità di adattamento e la nostra resilienza e se prendiamo consapevolezza del fatto che “la normalità” è una situazione che abbiamo già vissuto e la gradualità con cui vengono tolte le misure restrittive, ci permetterà di riabituarci più facilmente.