Quello che a lezione di storia non ci hanno insegnato: il ruolo delle donne nella società e i bias
Il peso della presenza maschile rispetto alla possibilità di una donna di autodeterminarsi nei ruoli di potere o di visibilità.
Immaginate una stanza, grande e piena di gente che lavora. Immaginate la tensione alle stelle, non si passa, non sembra esserci abbastanza posto per tutt*. Immaginate un confronto, una proposta su qualcosa da fare, fatta col sorriso per stemperare la tensione accumulata nei giorni, nelle ore. Uno scambio di battute, qualche sorriso, l’idea convince. “Non ne parlare con loro, non ti stanno capendo.” Ti riferisci a me? “Non puoi capirlo, ti parla di una cosa seria, ma tu non sei seria.” Tutto questo per un sorriso, per il mio sorriso? Ed il suo?
Immaginate una stanza, piena di uomini ed una o due donne. Scoprirete che questo episodio evocato ha un corrispettivo in tantissimi ambiti in cui l’essere donna si scontra dialetticamente con la nostra posizione e la nostra posizione in relazione agli uomini.
Negli ultimi 50 anni è aumentata la presenza femminile nelle posizioni di potere, soprattutto nel mondo del lavoro. Sono aumentate le CEO, le donne con ruoli di rilievo nel mondo della politica, ci sono più giornaliste ed anche il mondo dell’accademia sta vivendo un aumento della presenza femminile.
Il fatto che ad oggi una giovane donna possa percepire come socialmente accettato che la sua vita si direzioni verso la carriera piuttosto che la famiglia, è sicuramente un altro grande traguardo delle lotte femministe. Tuttavia, la situazione non è così semplice né rosea. Al di là dell’aumento della presenza femminile nei ruoli legati alla leadership, l’occupazione femminile continua ad essere in calo, arrivando a scendere al 49% in Italia dal 2020, 18,2% di donne in meno rispetto alla media maschile. Quella che sembra essere un controsenso in realtà nasconde una verità che è fondamentale per comprendere le aporie insite dell’essere donna oggi: è più facile trovare una donna negli spazi decisionali, negli spazi in cui si esercita il potere, ma sarà solo una – e molto spesso sarà etero, bianca ed abile. Per ogni donna presente ci sarà sempre una stanza affollata di uomini.
Perché il numero di uomini in questa fantomatica stanza è così importante? Non basta il fatto che si abbia accesso per poter dire effettivamente di aver raggiunto la parità? Il numero così sproporzionato di uomini rispetto alle donne non può essere un accidente?
Il rapporto numerico sbilanciato fra uomini e donne, sia nei luoghi di potere propriamente detti che nei luoghi di visibilità – seppur la visibilità non sia altro che un ulteriore strumento per esercitare una qualche forma di potere – influenza molto lo spazio che ogni donna ha nel determinarsi rispetto al suo ruolo.
Il fatto che per secoli i ruoli che contano siano stati appannaggio degli uomini ha ipostatizzato nella nostra mente l’idea che alcuni ruoli siano adatti ad un solo genere senza sapere che quello schema replica determinati rapporti di forza. Un lettore o una lettrice potrà storcere il naso con scetticismo, ma i bias sessisti che abbiamo sono molto forti.
Prendiamo ad esempio la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, recentemente vittima di due episodi sessisti. Nello scorso aprile, la presidente trovandosi per una visita diplomatica ad Ankara, accedendo nella sala in cui avrebbe incontrato Erdogan si ritrova ad essere l’unica persona senza una sedia su cui accomodarsi. Lo scorso febbraio durante il Summit UE-Africa, il ministro degli esteri ugandese Odongo Jeje incontrando le altre personalità politiche non saluta la presidente Von Der Leyen e si dirige direttamente dal presidente francese Macron, il quale gli fa notare la presenza della presidente. Questo caso è molto esplicativo dei rapporti di forza presenti nelle stanze affollate di uomini, in cui le donne non occupano posizioni di rilievo e per questo nel momento in cui una, una sola, assume una posizione importante non viene riconosciuta. Il mondo della politica è stato appannaggio principalmente degli uomini ed ancora vi è una modalità di guardare le cose che continua a farci credere con una serie di ambienti non siano fatti per le donne. È un’esagerazione, mi dirà qualche voce di chi legge, e sicuramente l’esempio citato è causato dal fatto che nei due casi l’incidente diplomatico sia stato causato da soggetti non appartenenti alla cultura occidentale.
Possiamo credere che la storica lotta delle sorelle europee abbia salvato l’occidente dalla piaga del sessismo, ma stiamo parlando di una violenza sistemica così pervasiva che non ignora nessun contesto storico o culturale. Anzi, proprio nell’ambiente occidentale il sessismo trova altri alleati per trovare nuovi meccanismi di oppressione nei confronti del genere femminile. È uno sguardo che stabilisce il modo di comportarsi di determinate donne, che ne modifica le ragioni ed i criteri di accesso alla stanza degli uomini.
È lo sguardo che decide le regole di interpretazione di una situazione, affinché il mondo continui a rimanere uguale a sé stesso, con le geometrie di potere invariate.
Lo sguardo maschile è ciò che porta tuttə noi a considerare con maggior sospetto l’assunzione di un ruolo rilevante da parte di una donna, sospetto che si accresce quando questa è giovane, quando questa non è bianca. È quanto accaduto nell’edizione del 2022 del Festival di Sanremo in cui ad essere messa in discussione più di altre è stata la presenza di Lorena Cesarini, giovane attrice romana di origini senegalesi. Il sospetto rispetto alla sua co-conduzione ha necessitato di una dimostrazione da parte dell’attrice, un qualcosa da parte sua che dimostrasse di meritarsi d’essere lì. Su questo specifico caso si aggiunge un ulteriore elemento: il razzismo. È così che la presenza di una donna può essere giustificata solo se questa è funzionale a dare una caratterizzazione morale positiva agli uomini che quella stanza l’affollano – come nel caso di Amadeus, il direttore artistico che ha permesso che si parlasse di razzismo sul palco dell’Ariston – in barba al fatto che per dare quella caratterizzazione si vada al di fuori delle competenze richieste per il ruolo stesso. Lorena Cesarini, del resto, è un’attrice, ma non un’attivista e per quanto la sua testimonianza sia stata preziosa e necessaria, vista la scarsa consapevolezza sul tema, la voce di chi si occupa quotidianamente dei diritti civili sarebbe stata più calzante e la responsabilità di questa scelta ricade sulla direzione artistica del programma.
Le donne sono costantemente invisibilizzate, costrette ad una performatività per legittimare la propria esistenza o, soprattutto se si parla di donne non bianche, non cis o disabili tokenizzate – ovvero utilizzate come spauracchio per non affrontare le discriminazioni di cui si è complici.
Nel periodo dell’anno in cui la riflessione sull’essere donna si fa sempre più urgente, a questa analisi si deve accompagnare una visione critica anche di queste stanze affollate di uomini, che ancora stabiliscono le regole ed il modo in cui porci. Dobbiamo essere silenziose oppure funzionali alle loro pacche sulle spalle e ancora se vogliamo fare rumore dobbiamo farlo a loro immagine e somiglianza, mutilando ogni tentativo di essere semplicemente noi riducendoci nuovamente a costola di qualcuno.
Ma la verità è che siamo stanche di essere costola, vogliamo i nostri posti a sedere, vogliamo essere chiamate per le nostre competenze e vogliamo essere serie a modo nostro. La stanza è ancora piena di uomini, è affollatissima non si respira, ma il nostro ruolo è essere la scheggia impazzita dove si può, eludere lo sguardo maschile e cambiare le cose, una regola alla volta. Forse la stanza sarà meno affollata di uomini, forse ci sarà maggior spazio per un’altra sorella.
Qua dentro non si respira, c’è bisogno di una boccata d’aria fresca.
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