Body Positivity: dalla Fat-acceptance al mantra “All bodies are beautiful”
Body Pride as a passion whose object is one’s Body -Céline Leboeuf
Avete mai sentito parlare del movimento Body Positivity?
Sicuramente scrollando innumerevoli volte sulle bacheche dei social media, ed in particolare su Instagram vi sarà capitato di leggere dei post che parlano di Body Positivity, di quanto tutti i corpi siano belli e di come bisogna promuovere rappresentazioni più inclusive in tutti gli ambienti: nei social, nelle pubblicità e nei media tradizionali come la TV. Il focus principale sui social negli ultimi anni è stato quello di seguire il mantra “All Bodies are Beautiful”, infatti in maniera quasi costante le discussioni e la condivisione di immagini e video si sono concentrate sull’aspetto estetico del corpo. Questa narrazione è utile da un punto di vista rappresentativo, ma svuota la natura politica e sociale del movimento, rischiando di escludere dalle narrazioni i corpi che per adesso chiameremo solo “marginalizzati”. Per averne conferma, basta provare a fare una ricerca con gli hashtags #bodypositivity o #bodypositive su Instagram ci si accorgerà che i primi contenuti che l’applicazione mostra risultano per la maggior parte essere di corpi bianchi, femminili, cis gender e abili.
Dove sono finiti dunque i corpi marginalizzati del movimento? E soprattutto gli account su Instagram e le agenzie di moda e di pubblicità che vogliono portare una nuova narrazione inclusiva si sono scordat* dei corpi grassi e delle origini del movimento?
Moltissim* intelletual* ed espert* della Body Positivity infatti denunciano una retorica “anti-fat”, ovvero anti-grassa di esclusione sistematica di corpi troppo grassi, di qualsiasi tonalità di pelle, da molti ambienti che si dichiarano body positivity friendly. Questo è dovuto anche al fatto che si pensa che includendo troppo i corpi grassi si rischia di promuovere l’obesità ed in qualche modo tradire le fondamenta della diet culture.
Da qui nasce la volontà di tornare a delineare le origini di questo movimento, poiché contrariamente a quanto si possa pensare, queste partono da due concetti chiave legati ai corpi grassi: la “fat-acceptance” e la “fat-liberation” (letteralmente accettazione della grassezza e liberazione della grassezza). Due inglesismi che fanno comprendere come il movimento Body Positivity partisse dalla volontà di emarginare episodi di grassofobia in ambienti sanitari, pubblicità ed in generale negli ambienti lavorativi per poi arrivare all’accettazione annichilente e vuota odierna della bellezza di tutti i corpi.
L’origine della body positivity
L’origine viene collocata, in base a vari punti di vista in diversi momenti tra il 1920 e il 1960 negli Stati Uniti, ma per semplicità ripercorreremo le narrative più persistenti per comprendere il passaggio dalla fat-acceptance alla Body Positivity. Secondo alcun* studios* il movimento nasce con una natura politica e sociale per combattere la grassofobia. In alcune analisi, come in quella di “Forgetting Fatness” di Mehdi e Frazier (2021) si sottolinea che storicamente il movimento oltre a proteggere i corpi grassi aveva come focus anche il promuovere l’accettazione di corpi queer, trans e altri corpi marginalizzati. In ogni caso dato e considerato il ruolo della “fat-liberation” e della “fat-acceptance” si possono porre come base dell’analisi i corpi grassi. Uniti per emarginare le discriminazioni, i primi movimenti anti-grassofobia volevano guadagnare tolleranza da un punto di vista medico per le persone grasse, considerate in automatico non sane. Inoltre, si volevano anche condannare episodi di grassofobia nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nelle pubblicità.
Intorno agli anni ’60 inoltre il focus del movimento si sposta ulteriormente verso la “fat-acceptance” e quindi sull’accettazione in generale dei corpi grassi e su processi di empowerment. Tre momenti fondamentali che hanno caratterizzato questo periodo sono stati:
- Nel 1967 la pubblicazione del saggio “More People Should Be Fat” di Lew Louderback in cui spiegava le discriminazioni nei luoghi di lavoro cercando di promuovere le donne grasse nei magazine.
- Nello stesso anno a Central Park (Stati Uniti) fu organizzato un fat-in dove partecipanti alla manifestazione bruciarono libri dedicati alle diete e fotografie della supermodella Twiggy portando striscioni con scritte come “Fat Power” e “Fat Girl to Dinner”.
- Nel 1969 la creazione della “National Association to Advance Fat Accepatance (NAAFA) un’organizzazione per i diritti dei grassi dedicata a proteggere i diritti e migliorare la qualità della vita per le persone grasse. NAAFA lavora per eliminare la discriminazione in base alle dimensioni del corpo e fornire alle persone grasse gli strumenti per l’empowerment attraverso la difesa, l'educazione pubblica e il sostegno. Il suo creatore Bill Fabrey, all’epoca un giovane ingegnere, era stanco delle discriminazioni verso la moglie Joyce.
Per arrivare a parlare di Body Positivity bisogna concentrarsi su quella che viene definita la seconda ondata femminista del movimento con la creazione dell’organizzazione “The Body Positive”. Il movimento con questo nome e nella sua composizione è stato fondato nel 1996 da Connie Sobczak ed Elizabeth Scott. The Body Positive “è un'organizzazione tutt’ora esistente che offre una varietà di risorse e programmi per insegnare e ispirare giovani e adult* a valorizzare la propria salute, bellezza unica e identità in modo che possano usare le loro risorse vitali di tempo, energia e intelletto per apportare cambiamenti positivi nelle loro vite e nel mondo.” [fonte: theobodypositive.org].
(Foto della pubblicazione del saggio “More People Should be Fat” dall’articolo The Fashion Politan.)
Da allora il movimento ha spostato il focus dai corpi grassi all’ accettazione di tutti i corpi, per lo più quelli femminili, e sulla promozione della bellezza di tutti i di corpi senza distinzione di sesso, età, genere, colore della pelle, orientamento sessuale etc.
La razza come strumento aggiuntivo dell’analisi dell’origine della Body Positivity
La razza, intesa come categoria sociale e non biologica, ha un peso nella lettura del movimento, poiché, per esempio, il fatto di essere donne, nere e grasse produceva e continua a produrre una dinamica di discriminazione plurale che ne determinata una natura intersezionale sia nell’analisi del movimento che nella lotta che ne dovrebbe conseguire. Altr* studios* infatti, portano alla luce la natura “Black” del movimento quando inseriscono nel quadro altri elementi come:
- Il saggio “On Being a Fat Black Girl in Fat-Hanting Culture” di Margaret K. Bass, in cui racconta della sua esperienza di donna nera e grassa nel Sud segregato degli Stati Uniti fra gli anni ’50 e ‘60.
- Nel 1972 Johnnie Tillmon, un*attivista welfare poneva l’attenzione sul fatto che essendo grassa, nera e povera viveva un’intersezione di discriminazioni.
(Foto tratta dall’articolo The Black History of the Body Positive Movement di Jonnie Tillmon, attivista.)
Nei primi due paragrafi quindi ho tracciato un movimento che prende in considerazione vari elementi, fra cui la fat acceptance, la fat liberation e l’esigenza di creare spazi inclusivi anche per le donne nere, queer e corpi marginalizzati.
L’intento di portare alla luce questi aspetti non deve però far dimenticare come inizialmente nei movimenti di attivismo bianco negli anni ’60 c’era poco spazio per le persone nere ed in generale le persone razializzate, perché non si prendeva in considerazione l’intersezionalità di queste discriminazioni ed in più era diffusa la credenza che nelle comunità nere e minoranze si accettassero di più le persone grasse. I primi grandi movimenti bianchi, infatti non pensavano che le persone razializzate avessero bisogno di movimenti legati alla grassezza. Di conseguenza non volevano “mescolare” le lotte e creare confusione sul messaggio principale di fat-acceptance e fat liberation. Questo punto è cruciale perché queste credenze, ancora una volta creavano processi di marginalizzazione, presenti anche negli attuali movimenti, con diverse forme e intensità.
A questo punto della lettura vi starete probabilmente chiedendo quali siano i problemi di un movimento che è passato da un focus sui corpi grassi ad un movimento di accettazione di bellezza plurimo abbracciando differenti taglie, diversità, disabilità e molto altro?
In realtà molti pochi se si vuole guardare al movimento solo da un punto di vista estetico, ma se si volesse andare oltre e tornare ad un pensiero veramente inclusivo che non dimentica delle proprie origini bisognerebbe prendere in considerazione questi punti:
- Il movimento, ad oggi portato avanti prettamente sui social media, esclude in maniera sistematica le sue origini portando, come detto sopra, ad una rappresentazione bianca, cis e abile e spesso non grassa (esempio ricerca con hashtag #bodypositivity). Questo comporta una rappresentazione, ovviamente in occidente, che promuove il gruppo dominante bianco, abile, ed esile, che è già continuamente rappresentato nei media e che non subisce un’intersezione di discriminazioni. Questo processo è stato definito come una sorta di cooptazione in “Forgetting Fatness” perché i protagonisti di un movimento vengono completamente sostituiti facendo scaturire le discriminazioni denunciate all’inizio, rischiando di produrre sempre più spazi dove ancora una volta vengono marginalizzati i corpi che subiscono più discriminazioni quotidianamente. Riflettendo su questa interpretazione, dunque, il movimento Body Positivity non ha seguito un percorso naturale di cambiamento da fat-acceptance a body positivity, ma in realtà ha subito un vero processo di cooptazione (ovvero l’assunzione di un membro in un corpo od organo collegiale, mediante designazione da parte dei membri già in carica).
- Eliminare completamente elementi come la questione della razza riduce la dimensione politica, sociale e discriminatoria del movimento portando a fenomeni di whitewashing del Body Positivity e di Colorismo.
- La narrazione tutti i corpi sono belli, perpetua un’analisi superficiale, ponendo solo l’accento sul fatto che tutte le persone si debbano considerare belle per forza.
Per andare oltre l’estetica ed il focus sulla bellezza bisognerebbe abbracciare di più il Body Pride di cui Leboeuf (2019) parla in maniera approfondita. Il Body Pride deve essere inteso come una passione che ha come oggetto il corpo, ovvero un’emozione consapevole che, come focus principale, ha l’intero corpo o alcuni elementi di esso. Questo passaggio farebbe sì che si passasse ad un concetto di cura e amore verso il corpo che è prioritaria al fatto semplice di considerarli tutt* bell*.
Questo concetto di amore di cura ci permetterebbe di avvicinarci di più ad un movimento che davvero pensa e crede nel valore dei corpi, senza creare ulteriori discriminazioni verso soggett* già marginalizzat* in tantissimi spazi nel mondo, valorizzando anche e soprattutto i corpi grassi fonte primaria di tutto il movimento.
La razza nell’analisi dell’origine della Body Positivity
La razza, intesa come categoria sociale e non biologica, ha un peso importante nella lettura del movimento. Per spiegarlo vorrei cominciare da un esempio: essere donne, nere e grasse produceva e continua a produrre una dinamica di discriminazione plurale rendendo intersezionale sia nell’analisi del movimento che nella lotta che ne dovrebbe conseguire.
Nei primi due paragrafi ho tracciato come il movimento prende in considerazione vari elementi, fra cui la fat acceptance, la fat liberation e l’esigenza di creare spazi inclusivi anche per le donne nere, queer e corpi marginalizzati. L’intento di portare alla luce questi aspetti non deve però far dimenticare come inizialmente nei movimenti di attivismo bianco negli anni ’60 c’era poco spazio per le persone nere ed in generale per le persone razzializzate, perché non si prendeva in considerazione l’intersezionalità di queste discriminazioni. Era, inoltre, diffusa la credenza che nelle comunità nere e più in generale tra le minoranze si accettassero di più le persone grasse. I primi grandi movimenti bianchi, infatti, non pensavano che le persone razzializzate avessero bisogno di movimenti legati alla body positivity e di conseguenza non volevano “mescolare” le lotte e creare – quella che loro definivano come – confusione sul messaggio principale di fat-acceptance e fat liberation. Questo punto è cruciale e deve essere ben chiaro perché queste credenze creavano ulteriori processi di marginalizzazione tra persone già marginalizzate, e soprattutto sono ancora presenti anche negli attuali movimenti, seppure in diverse forme e intensità.
Bibliografia per approfondire:
Dominici, B. (2020) The Black History of Body Positive Movement disponibile su: https://zenerations.org/2020/08/21/the-black-history-of-the-body-positive-movement/
Leboeuf, Céline. “What Is Body Positivity? The Path from Shame to Pride.” Philosophical Topics 47, no. 2 (2019): 113–28. https://www.jstor.org/stable/26948109
Mehdi, N. and Frazier, C. (2021) Forgetting fatness: The violent co-optation of the body positivity movement. Debates in Aesthetics, 16 (1). pp. 13-28. ISSN 2514-6637
Winant, C. (2016). Our Bodies, Online. Aperture, 225, 138–143. http://www.jstor.org/stable/44404723
Video di approfondimento sui corpi di modelle nere e grasse (curvy): https://www.youtube.com/watch?v=7JaFNYGwKbE
Video testimonianza sul legame di corpo e media: https://www.youtube.com/watch?v=uDowwh0EU4w