In Arte: Patrick Andrade Mendes

L’ attore di teatro GEN 2  ci ha raccontato com’è il mondo del teatro italiano per le minoranze.


Quello del palcoscenico è uno dei settori che maggiormente è stato colpito dalla pandemia, i teatri – assieme anche ai cinema –  infatti sono stati tra gli ultimi a riaprire. Tra l’altro del primo settore, fatta eccezione per le prime alla Scala ed altre occasioni prestigiose, non si parla quasi mai. Curiose di sapere com’è recitare sui palchi italiani abbiamo voluto fare qualche domanda a qualcuno che ci lavora.



“Mi chiamo Patrick Manuel Andrade Mendes, sono nato a Capo Verde il 28 ottobre del 1994. Vivo in Italia da 20 ormai, precisamente a Palermo. Da circa 4 anni sono un attore teatrale, lavoro con Raizes Teatro, compagnia impegnata nella promozione di diritti umani attraverso le arti.”





Come e quando è iniziato tutto?

PM: “Ho iniziato 4 anni fa per puro caso. Stavo attraversando un periodo davvero pesante della mia vita, avevo perso il lavoro e passavo le giornate da solo senza mai uscire di casa. Un giorno, decisi di uscire per andare a vedere uno spettacolo in un minuscolo teatrino di Palermo, su invito di una mia vecchia amica. Qualche giorno dopo ricevetti la chiamata di Alessandro Ienzi, regista dello spettacolo che avevo visto, che mi invitava a vederci per un caffè. Parlammo e lui volle coinvolgermi in questo mondo. Inizialmente io, da timido e introverso quale sono, mi rifiutai categoricamente di recitare, ma non appena entrai a contatto col teatro me ne innamorai subito. Una settimana dopo già prendevo parte a uno spettacolo in una chiesa sconsacrata di Palermo e sei mesi dopo interpretavo un monologo a Barcellona. Non ho mai smesso di lavorare con Alessandro, col quale posso dire di avere costruito una tra le amicizie più significative che abbia, e insieme abbiamo fondato Raizes Teatro.”






La tua famiglia come l’ha presa quando hanno capito che questo era quello che volevi fare nella vita?

PM: “All'inizio mia madre non era d'accordo, ancora oggi preferirebbe per me un impiego più stabile e sicuro. Ma va bene così, anzi sarebbe strano il contrario, soprattutto considerate le condizioni economiche svantaggiose in cui spesso ci siamo ritrovati. Nonostante tutto si sta ammorbidendo col passare degli anni e notarlo mi emoziona sempre.”





Riesci a  vivere della tua arte? 

PM: “Ancora non riesco a vivere con il teatro, a parte brevi periodi prima della pandemia, ma credo che in futuro le cose miglioreranno. Sono molto fiducioso nelle mie capacità o almeno ci provo!”




Trovi che sia difficile emergere nella tua industria se appartieni a una minoranza?

PM: “In Italia assolutamente sì, c'è ancora molta strada da fare per migliorare le cose. Non c'è ancora diversità nelle storie che vengono raccontate, anche perché chi le scrive spesso non appartiene a una minoranza e nemmeno si interessa a determinati temi. Inoltre, il mondo del teatro è ancora decisamente poco accessibile a chi non ha il sostegno economico familiare. Io posso dire di essere stato davvero fortunato nell'avere l'appoggio di Alessandro, oltre che di altre persone a me care.”


Se sì, pensi che questo possa cambiare nei prossimi 5 anni?

PM: “Dubito che cambiamenti imponenti si potranno vedere in tempi così brevi, viste le radici spesse e profonde del problema. La mia previsione più ottimistica è di minimo dieci anni, ecco.”



Ultima domanda ormai di rito a Colory*, come vedi l’Italia nel 2030?

PM: “Non sono un disfattista: sogno un'Italia più matura per quanto riguarda la convivenza e la valorizzazione delle diversità. Con le nuove generazioni che crescono, le cose andranno sempre a migliorare.”




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