Nei panni di un alleato: Adrian Fartade



Nelle ultime settimane la parola alleat* è stata ripresa più volte, senza essere troppo spiegata. Noi lo abbiamo fatto qualche mese fa, nel caso servisse potete rinfrescarvi la memoria qui, perché oggi vogliamo presentarvi un alleato, il suo nome è Adrian.

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Innanzitutto parlaci un po’ di te


AF: “Mi chiamo Adrian Fartade, vivo a Firenze e mi occupo di divulgazione scientifica, nello specifico di storia dell'esplorazione spaziale e di astronomia. Sono anche attore teatrale e scrittore, ho 3 gatti, 3 cactus e 1 canale YouTube dove parlo appunto di spazio e scienza.”



Cosa ti ha portato a prendere posizione e diventare un alleato?


AF: “ Crescendo mi sono subito accorto che esistevano persone più privilegiate di altre. Per esempio, quando ero alle superiori, ad un ITIS, c'erano pochissime ragazze nella mia scuola, mi era molto chiaro come venivo trattato diversamente io da maschio rispetto a loro, e questo risuonava molto famigliare con come mi sentivo trattato diversamente io per la mia nazionalità (di origine sono rumeno) e per il mio orientamento sessuale e più passava il tempo più trovavo esempi di come questo avveniva ovunque intorno a me. Il mio avvicinarmi a questi temi è stato perciò molto viscerale perché da una parte ero un adolescente arrabbiato contro il mondo, specie per le ingiustizie che subivo, dall'altra parte era chiaro che non succedeva solo a me. 

Quindi a portarmi a prendere posizione sono stati sia la discriminazione che subivo, che il privilegio che avevo come uomo bianco e la voglia di ascoltare, capire e scoprire come potevo io stesso smontare questo lato di me.”




Ti capita di litigare su questi argomenti con amic* e parenti? Come lo gestisci?


AF: “Oggi di meno, ma crescendo sì, tanto! Per esempio, in Romania c'è un razzismo fortissimo contro tante minoranze, come quella Rom, o LGBTQIA+, e spesso sentivo parenti, che sapevo con certezza che venivano discriminati in Italia, dire cose razziste riguardo ad altre minoranze. Da adolescente ribelle con la cresta che parlava di femminismo e anti-razzismo non ero molto diplomatico e finivo sempre per discutere su tutto, arrabbiandomi perché non riuscivo mai a farmi capire o a convincere altre persone di cose che a me sembravano così ovvie, ma in parte era anche per mancanza di un vocabolario adeguato e conoscenze. Oggi, in virtù anche del mio lavoro da comunicatore e divulgatore, ho imparato a gestire meglio le discussioni.”






Perché secondo te molt* vanno sulla difensiva quando si parla di cambiare le cose o di comportamenti da correggere? 


AF: “C'è un film di animazione adorabile dello Studio Laika, chiamato Boxtrolls, in cui c'è una piccola scena finale (tranquilli non è uno spoiler) con due personaggi che per tutto il film sono stati aiutanti dei cattivi, che riflettono chiedendosi se loro sono i buoni o cattivi della storia e mi è sempre piaciuto molto perché penso che tutti noi ci immaginiamo di essere i buoni della nostra storia. Siamo molto bravi a creare castelli interi di narrazioni su come noi siamo buoni, magari anti-eroi che hanno fatto errori, ma comunque, sostanzialmente, buoni. Dire alle persone che ci sono cose che sbagliano, secondo me, triggera subito tutti i meccanismi di difesa con motta piena di coccodrilli, ponti tirati in alto, cannoni alle porte. Solitamente si parla anche della forza dell'abitudine per i modi di dire sbagliati che continuiamo ad usare o comportamenti che continuiamo a giustificare, ma secondo me è appunto parte della storia che ci raccontiamo e non vogliamo accettare che magari, forse,sbagliamo. Più l'errore va alla fondazione morale di come ci immaginiamo più penso ci sia resistenza. Per questo far notare alle persone che sono razziste o maschiliste o transfobiche, può subito farli entrare in modalità castello medievale sotto assedio, impaurite sia dall'opinione che altri potrebbero avere di loro se fosse vero sia che opinione potrebbero avere loro di loro.”




Sempre secondo te le persone bianche faticano oppure non vogliono capire il privilegio bianco? 


AF: “Per me personalmente, è stato un processo che ho affrontato tra le superiori e università e è stato difficile da digerire, con tutte le buone intenzioni che avevo, perché quando mi veniva fatto notare che ero un uomo bianco privilegiato, io continuavo a pensare che subivo un sacco di discriminazioni, e non vedevo alcun privilegio. Continuavo a non pensare a come una persona nera, avrebbe subito molto più razzismo di me. Oppure come quella persona nera magari etero, in altri contesti, in virtù di quello poteva essere discriminata meno di me che non lo ero. Insomma l'idea della complessità e l'intersezionalità tra questi temi, nella mia testa da adolescente non entravano proprio all'inizio. Nella mia testa, avere privilegio era più tipo vivere nel lusso ed essere superiore agli altri in tutto. Penso che molte persone bianche continuino a far fatica con quest'idea perché nella nostra narrazione, costruita tra l'educazione a casa, media, arte e scuola, in cui tutto è bianco, non esiste quasi mai il quesito.”




Cosa pensi del termine razzista? La maggior parte la prende come un’offesa, ma in realtà dovrebbe essere un campanello di allarme, non trovi?


AF: “Esatto! Sarebbe come se, mentre il nostro sistema immunitario cerca di reagire contro una malattia, noi ci offendessimo perché implicitamente ci sta dicendo che siamo malati. Quando qualcuno fa notare che fai o dici qualcosa di razzista, omo-bi-transfobico, maschilista, abilista, dovrebbe essere un segnale, come appunto un sistema immunitario che condividiamo come società, per farti capire qualcosa non va. E con qualcosa non va, intendo che ne va della vita delle persone, per colpa della cultura a cui partecipi e aiuti in piccola parte a mantenere.  Dobbiamo renderci conto che le  cose non avvengono mai nel vuoto. Non capitano senza una cultura in cui il razzismo viene accettato e tollerato e qualsiasi voce che si alza contro viene messa a tacere perché il nostro povero castello, lo abbiamo appena imbiancato e fatichiamo a evitare che non schiacci le minoranze sotto.”






Qual è secondo te il metodo migliore per sensibilizzare le persone, che non hanno idea di cosa sia il razzismo, alla questione?

AF: “Io per esempio punterei tantissimo ad avere maggior voce per raccontare noi stessi la nostra storia e arte. Poi spesso sento dire che serve più educazione e istruzione e viaggi, ma allo stesso tempo conosco un sacco di gente con tante lauree, che ha viaggiato intorno al mondo ed è comunque razzista. Non penso che basti una generica istruzione, ma questi temi di cui parliamo devono essere proprio parte integrante del percorso scolastico. Ci  deve essere un’ istruzione attivamente intersezionale tra femminismo, anti-razzismo ed anti-fascismo. Questi non sono valori che nascono così spontaneamente come la voglia di pancake di domenica. Non possiamo sperare semplicemente che le persone ci arrivino per conto loro perché hanno visto un bel film una sera e si sono emozionati. Devono essere parte attiva di tutti i campi che trattiamo.”



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