Quello che a lezione di storia non ci hanno insegnato: il corpo nero nei media italiani
Come è stato rappresentato nei decenni passati, come lo è oggi e perché deve cambiare
Nell’immaginario collettivo italiano influenzato da un determinato modo di rappresentare – dalla televisione ai film – le relazioni amorose che riguardano le persone nere, si tende a eliminare qualsiasi pensiero inerente ai sentimenti di queste ultime. Il fatto di immaginare una persona nera innamorata e capace di provare dei sentimenti, o di avere una personalità, viene rimpiazzato da un’idea che si focalizza principalmente sugli stereotipi e i pregiudizi che riguardano il loro corpo e il sesso. Questo deriva sia dai retaggi coloniali di epoca fascista applicati ai corpi delle persone nere, in particolare il corpo delle donne, sia dal tipo di rappresentazione mediatica che negli anni si è voluta dare delle persone nere.
La feticizzazione del corpo nero femminile è il risultato di un retaggio coloniale che si è avuto sia in America che in Europa. Per quanto riguarda il primo caso, e in particolare negli Stati Uniti, le donne nere che venivano schiavizzate e sfruttate nei campi da lavoro dai padroni bianchi, venivano ripetutamente stuprate e utilizzate come schiave sessuali. E se questi ultimi venivano sorpresi dalle loro mogli bianche, la colpa ricadeva sulla donna nera stuprata, poiché li aveva “sedotti”. Da parte delle loro mogli vi era questa “paura” che i loro uomini le potessero tradire per colpa delle donne nere, senza capire che il problema era il potere machista e razzista dei loro mariti. E questi ultimi si approfittavano di questa “paura” per uscirne completamente puliti. All’idea di inferiorità razziale che veniva attribuita alle persone nere, si aggiungeva anche il ruolo imposto di oggetto sessuale per le donne nere, utili solo per sfogare le violenze e le frustrazioni sessuali dei loro padroni. Anche gli uomini neri venivano estremamente sessualizzati: venivano visti come animali feroci che da un momento all’altro avrebbero stuprato le mogli bianche dei padroni. C’è chi arriva perfino a insinuare che in determinati Paesi stuprare sia una pratica culturalmente accettata; altri chiamano in causa la genetica, soprattutto quando si tratta di uomini provenienti dall’Africa Sub-Sahariana, i quali sarebbero innatamente attratti dalle donne bianche italiane. Donne che, il più delle volte, sono definite “nostre”, come se potessero essere proprietà esclusiva di qualcuno. Una visione distorta rafforzata anche dalla retorica dei partiti di estrema destra.
I fascisti italiani, nelle colonie possedute in Nord Africa, si appropriavano dei corpi delle donne nere, chiamate sciarmutte o madame: mentre la sciarmutta era la versione italianizzata di una parola araba, ossia, sharm ta (prostituta), la madama era invece colei che coabitava con il proprio padrone. Queste relazioni venivano raccontate come svago per gli italiani colonizzatori, possedere una madama era un lusso, un bottino di guerra. Non mancava la diffusione di souvenir fotografici, in cui le protagoniste venivano chiamate “Veneri Nere”: si trattava di donne africane nude fotografate in pose sensuali e questa tipologia di foto contribuì a creare un immaginario occidentale esotizzante di una maggior predisposizione sessuale delle donne africane a prostituirsi.
Una vignetta di Enrico De Seta.
“Decolonizzazione” non indica solamente il processo per cui i Paesi si liberano dei coloni occidentali, si tratta di un processo che deve includere anche la decolonizzazione della percezione che gli altri hanno dei corpi delle persone nere. Tale lavoro di decostruzione può avvenire anche tramite la rappresentazione delle persone nere nei media e, in quest'ultimo caso, anche l'Italia ha incluso persone nere nei vari spot pubblicitari o film italiani. Tuttavia è necessario analizzare in che modo è stato fatto e se davvero siano serviti a rompere con la percezione coloniale che si aveva in passato.
Negli anni ‘70 divenne famosa una donna italiana di origine eritrea di nome Zeudi Araya che veniva scelta principalmente per film erotici o per film in cui interpretava l’oggetto esotico del desiderio di un uomo bianco. Nel 1972 uscì “La ragazza dalla pelle di luna” di Luigi Scattini. Questo film fu la rampa di lancio per Zeudi Araya, in cui interpreta una ragazza di nome Simoa che vive nelle Seychelles e diventa una “rovina famiglie” perché seduce Alberto, un uomo bianco e borghese che si sente attirato da questa nuova avventura. In “Il Signor Robinson” (1976), Paolo Villaggio interpreta una versione moderna, buffa e ironica di Robinson Crusoe, mentre Araya interpreta Venerdì, una giovane “selvaggia”. Tra i due nasce una bizzarra storia d'amore ma non mancano i riferimenti, specie all'inizio, alla lussuria innata delle donne nere: infatti, nel primo incontro tra “Robi” e l'indigena avviene una specie di inseguimento in cui lui cerca di catturarla come preda. In un dialogo tra i due protagonisti, Robi dice: “ Sai dalle mie parti ce ne sono tante di ragazze come te [...] non così attraenti. Vengono da noi, fanno mezzo servizio e molte anche stanno a servizio completo. Hai capito che cosa vuol dire con servizio completo? Bella cosciona nera..”, concludendo il tutto molestandola e palpandole le gambe.
Quasi tutti i ruoli interpretati da Araya hanno questo tipo di trama e contesto, quindi non risulta affatto che ci sia una discontinuità rispetto alla percezione che molti anni prima si aveva delle abissine: belle, esotiche, seducenti e pronte a soddisfare l’uomo bianco. I ruoli di Araya sono quindi limitati a fare la parte della donna nera che induce gli uomini bianchi e sposati in tentazione – e per cui veniva incolpata l'amante, più che l'uomo sposato. In un documentario realizzato da Fred Kuwornu, regista italo-ghanese, dal titolo Blaxploitalian-100 Years of Blackness in Italian Cinema 60’ USA-ITALY (2016), una ricerca sui ruoli proposti agli attori e alle attrici nere nell’Italia di oggi, queste ultime hanno affermato che poco è cambiato rispetto agli anni ‘70: ancora prostitute o domestiche.
E se da un lato, su Netflix, film come Summertime o Zero hanno tentato di ribaltare questo tipo di immaginario, rappresentando persone nere senza stereotipi di questo genere, nella realtà di tutti i giorni la pelle nera viene ancora percepita come qualcosa di esotico e da conquistare. Nella maggior parte dei casi, gli approcci che vengono utilizzati dagli uomini bianchi nei confronti delle donne bianche non sono gli stessi di quelli utilizzati per le donne nere. Non che le donne bianche non subiscano approcci o molestie davvero sgradevoli, di fatto, ciò che accomuna tutte le donne è proprio l’essere oggetto di attenzioni non richieste e molestie da parte di gente sconosciuta. Tuttavia, fare leva sul colore della pelle, in questo approccio, è il punto di partenza e ogni riferimento, di tipo sessuale, alla pelle nera viene percepito come “corteggiamento”. Inoltre, una donna nera non è mai una persona, ma una “pantera”, un animale esotico. O una “gatta nera”, come quella del Mercante in Fiera.
Ainett Stephens
La donna nera viene percepita quasi sempre come maliziosa, costantemente vogliosa, aggressiva e sicuramente sa twerkare. Le viene chiesto se preferisce i peni bianchi o quelli neri, dando quindi per scontato che abbia chissà quanti rapporti sessuali. Non mancano poi le attenzioni moleste di chi, se la donna nera è sola e si fa gli affari propri in pieno centro, viene di nuovo percepita come una prostituta, tra un “sali in macchina” o un “quanto prendi?”. Il porno ha giocato un ruolo fondamentale nella categorizzazione delle donne, viste come oggetti da inserire in determinati compartimenti: le redhead, le milf, le latinas, e poi le ebony. Nei vari tentativi di approccio, dire “io adoro le ebony” per attirare l’attenzione di una donna nera rientra tra le frasi principali. Non ci si presenta, non si saluta, il punto non è la donna nera come persona ma la pelle che ricopre il suo corpo. Il punto non è chi è davvero, come si chiama o quali siano i suoi interessi, il punto è confermare gli stereotipi che la persona che tenta un primo approccio con lei ha sentito dire sulle ebony. Le donne nere sono più “facili” e si fanno meno problemi. Così ha detto un “maestro” della Play Lover Academy, una pagina facebook in cui si danno consigli agli uomini su come conquistare le donne. Secondo lui le donne italiane se la tirano troppo, mentre quelle “di colore” no – come se, tra le altre cose, non esistessero donne nere italiane. Ci si arroga quindi il diritto di spiegare come conquistare una donna nera, come se fosse una categoria a sé, che richiede atteggiamenti differenti.
Un altro tentativo di approccio utilizzato è dire subito, come premessa, di non essere mai stati con donne nere o di non “averne mai provata una”, come se fossero delle macchine da provare o un piatto da gustare. Mentre è normale pensare che tutte le donne bianche siano ovviamente diverse l’una dall’altra, se si tratta di una minoranza etnica in una società prevalentemente bianca, si tende a generalizzare. Quindi una donna nera vale l’altra ma soprattutto, tutte sono abbordabili, tutte sono “facili” – non che ci sia nulla di male ad andare a letto con qualcuno al primo appuntamento, ma darlo per scontato solo perché si parla di donne nere non ha il minimo senso. Questi tipi di approcci sono stati sottolineati nel film Bianco e Nero, un film diretto da Cristina Comencini. In questo film, Alfonso, il suocero di uno dei protagonisti, per tentare un approccio con Nadine, di origine senegalese, se ne esce con frasi del tipo “in fatto di sesso, hanno una marcia in più”, oppure, si finge esperto d’Africa.
Tra i tentativi di approccio di molti uomini bianchi, fingersi esperti d’Africa è quasi un cliché tentando di creare un primo approccio sulle “culture africane” su cui l’interlocutore non sa evidentemente nulla e dando per scontato, tra le altre cose, che la donna nera con cui parla conosca approfonditamente tutti i 54 Paesi del continente, perché tanto uno vale l’altro – comprese anche le ex ragazze nere di questi uomini bianchi, altro argomento di primo approccio per accalappiarne un’altra, parlando solitamente di quanto fossero bellissime o di quali “piatti africani” abbiano assaggiato con loro o a quale “festa africana” siano andati “una volta”.
Quando una donna nera parla di queste problematiche quotidiane le viene detto che è “esagerata”. Eppure non è così complicato cercare di riconoscere un problema, capirne l’origine e rifletterci sopra. Non sembra così complicato neanche presentarsi, chiedere il nome e scoprire quali siano gli interessi di una persona, anziché dover leggere messaggi o ascoltare persone che si fingono “esperte d’Africa” o “amanti delle nere” . Qualcuno dirà “gli uomini non sono tutti così”, tuttavia è evidente che l’idea generale che si ha della donna nera in Italia sia fortemente ancorata a molteplici stereotipi. Anche questa, come il razzismo, è una questione sistemica che va decostruita.
La pelle nera è stata discriminata, feticizzata, sessualizzata, bombardata di pregiudizi, tuttavia rimane l’involucro con cui la donna nera si presenta e questo non può cambiare. L’unica cosa che può, e deve, cambiare è la percezione che ne hanno gli altri. Anche perché, forse sorprenderà ancora qualcuno, ma noi donne nere siamo molto di più della nostra pelle.