Quello che a Lezione di Storia non ci hanno insegnato: dov’è l’America Latina e perché si chiama così
Se si vuole parlare di America Latina bisogna innanzitutto affrontare alcune cattive abitudini rispetto al linguaggio che si usa correntemente. Il termine, infatti, non sempre viene usato in modo corretto. Può capitare spesso, specialmente in Italia, di sentir parlare di America Latina riferendosi solo alle popolazioni del Sud America, oppure di sentire usare il termine America solo in riferimento agli Stati Uniti d’America senza considerare che l’America è l’intero continente che comprende America del Nord e l'America del Sud. Inoltre, bisogna anche specificare che la parte meridionale dell'America del Nord è detta America Centrale ed è formata da stati che possiedono una cultura propria. Pertanto, per America, non si devono considerare solo gli Stati Uniti come spesso erroneamente si fa nel linguaggio comune.
In realtà con l'espressione America Latina si intendono quegli Stati che furono colonizzati da nazioni quali Spagna, Portogallo e Francia, in cui si parlano, per eredità culturale, lingue neolatine quali lo spagnolo, il portoghese e il francese. Per esempio, in Canada una fetta della popolazione – circa il 22,8% circa 7,9 milioni di persone -- parla Francese, lingua anch’essa neolatina. Ma nonostante questo il Canada non è considerato un paese dell’America Latina al contrario di Haiti dove solo il 10% della popolazione parla Francese.
A questo punto vorrei porre questa domanda: perché il Canada non confluisce nella definizione di America Latina? Forse c’è un’egemonia degli stati Anglosassoni che faticano ad unirsi con quelli Latini? La stessa ONU, per esempio, nel proprio geoschema, esclude il Messico dal Nord America eludendo le affermazioni dei geografi. Probabilmente tutto questo è risultato dal colonialismo.
Proviamo allora ad approfondire l’argomento facendo ricorso alla storia. La prima precisazione da fare è che Colombo non fu il primo ad arrivare in America dall’Europa, bensì furono i Vichinghi, che intorno al 1000 d.C., arrivarono per primi nel continente: quasi 500 anni prima rispetto all’esploratore italiano. Pertanto, definire “scoperta” lo sbarco di Colombo sul continente è del tutto sbagliato.
La seconda precisazione da fare è che non si trattò di un semplice incontro tra due mondi sconosciuti. Sapete che cosa accadde quando Cristoforo Colombo arrivò nel continente il 12 ottobre 1492? Una volta giunti sulla terraferma, i navigatori si resero presto conto della loro superiorità nella tecnologia militare, ma questo non fu il problema principale per gli abitanti del continente. Il vero problema fu l’introduzione di malattie che avrebbero di fatto avuto un effetto distruttivo per le popolazioni non immunizzate. Infatti, a differenza della colonizzazione africana, in cui le popolazioni locali erano in qualche modo immunizzate nei confronti delle malattie europee, nel continente Americano si sviluppò una patocenosi completamente differente, in cui vaiolo, morbillo, influenza, malaria e febbre gialla furono del tutto devastanti. Queste, unite alla crudele violenza descritta per primo da Bartolome’ de Las Casas, contribuirono in modo massiccio allo sterminio delle popolazioni indigene.
Inoltre, il medico J. C. Escudero attribuisce l’improvviso aumento della mortalità anche ad altri fattori quali, per esempio, le pericolose condizioni di sfruttamento dei lavoratori nelle miniere, la rottura degli schemi alimentari tradizionali, l’aumento di omicidi, e il crollo psicologico e culturale che ha indebolito le difese contro ogni forma di malattia e che ha persino causato l’aumento del numero dei suicidi. Secondo i calcoli del ricercatore H. F. Dobyns, infatti, circa il 95% della popolazione totale in America morì in meno di 130 anni dopo l’arrivo di Colombo. Il suo ruolo nella tragedia demografica del continente americano non dev’essere sottovalutato perché fu la causa dell’importazione di milioni di schiavi africani. Una volta ridotta la popolazione, infatti, il sistema schiavistico, che richiede alti livelli di produzione, necessitò di nuove forze. Per questo furono importati circa 12 milioni di schiavi africani facendo attuare una delle più grandi tragedie demografiche della storia. Ma non finisce qui: come se non bastasse, nei secoli successivi i conquistatori avrebbero imposto la loro religione, lingua, abitudini alimentari e perfino il loro abbigliamento, eliminando quasi completamente la cultura di una moltitudine di popoli e dando origine a quello che viene considerato da vari studiosi come “Etnocidio”.
Nonostante questi enormi disastri commessi, la conquista dell'America fu acclamata come: UN TRIONFO DELLA CIVILTÀ!
Addirittura Francisco Lopez de Gomara in General History of the Indies (1552), la definì come “il più grande evento della creazione del mondo, fatta eccezione per l'incarnazione e morte di colui che l'ha creato". Quando in realtà questo evento andava ad inserirsi in un contesto già evoluto e formato da una ricchezza etnica straordinaria, da grande interazione e relazione tra i popoli autoctoni, testimoniate anche da scontri tra alcuni di essi. Incas, Calchaquíes, Tzotziles, Olmecs, Maya, Guaraníes, Tupíes, facevano parte di questo grande e unico contesto pur non sottostando ad un nome unificante.
A unificare le loro diversità ci pensarono i colonizzatori quando introdussero la parola "indiani" con cui gli spagnoli e i portoghesi unirono sotto un’unica definizione popolazioni che nulla c’entravano l’una con l’altra. Al contempo, nel continente andava aumentando la diversità etnica: oltre alla popolazione autoctona si insediarono popolazioni africane, asiatiche ed infine anche le etnie del Vecchio Mondo. In questa diversità però persisterà uno dei principali prodotti dell'esperienza coloniale: la “Razzializzazione” che serviva a naturalizzare i rapporti sociali di dominio, costruendo così l'idea di "Razza" che vedeva la superiorità dei bianchi europei sui cosiddetti "indiani” nonché sui i neri e i meticci. Nonostante le persecuzioni, la cultura indigena,ù in qualche modo riuscirà a persistere attraverso un sistema di resistenza conformando un'identità estranea alla logica coloniale.
Con la sconfitta delle colonie, prima britanniche e poi iberiche, inizia in America un paradosso storico: stati indipendenti fondati su società coloniali. Un chiaro esempio è il caso degli Stati Uniti, che ottennero l'indipendenza come nuova nazione nonostante la parte di popolazione che la chiedeva fosse di origine e di appartenenza europea e dal processo di creazione e controllo del nuovo stato, fu esclusa la popolazione indigena, che a malapena sopravvisse al suo quasi totale sterminio. Ovviamente furono esclusi tutt* coloro che non avevano identità europea, come i neri.
Un altro esempio, invece, è il resto dei territori del Latino America dove però, il processo è stato completamente diverso. Questi territori riuscirono comunque a liberarsi dell’egemonia coloniale, ma il potere dello sviluppo indipendentista rimarrà comunque nelle mani dei bianchi che costituivano una minoranza rispetto alla stragrande maggioranza della popolazione nera, autoctona e meticcia che ricoprivano un ruolo sociale relegato a quello di servitù e schiavi. Si può così affermare che la nazionalità dei nuovi stati non rappresentava l'identità della grande maggioranza della popolazione ad essi soggetta, pertanto corrispondeva al contrario dell’effettiva identità. In pratica i nuovi Stati indipendenti in America Latina non sono emersi come un moderno stato-nazione, non erano democratici, non si fondavano sulla cittadinanza che li rappresentavano, erano ancora una fedele espressione del sentimento coloniale.
Il sentimento di superiorità dei conquistatori permanse nonostante stati come la Spagna avessero perso il potere governativo sulle colonie.
Per esempio, proprio quest’ultima, nel 1913, esattamente 15 anni dopo aver perso le ultime colonie, iniziò a celebrare la festa della Razza Spagnola, rievocazione nostalgica per celebrare la sua passata gloria imperiale e i discendenti creoli. Più tardi nel 1958 questa festa diventò l’Hispanic Day, ma il concetto stesso di Hispanidad sembrava alludere molto più alla superiorità del popolo spagnolo rispetto alle popolazioni latino americane. Pertanto quello che viene eufemisticamente chiamato incontro con altre culture vela ancora un’idea di supremazia. Infine, nel 1987, il governo di Felipe González stabilì che il 12 ottobre simboleggiava la giornata in cui la Spagna, in procinto di concludere un processo di costruzione dello Stato basato sulla pluralità culturale e politica, iniziò un periodo di proiezione industriale e culturale oltre i confini europei. In realtà, bisogna rivendicare che una tale proiezione non si sarebbe verificata se non fosse stato per la forza. Non sorprende, quindi, che la Giornata ispanica venga celebrata ancora con una parata militare, con la presenza del monarca e della sua famiglia nella capitale del regno, Madrid.
Se arrivat* a questo punto ti starai chiedendo se si festeggia ancora il 12 ottobre in America Latina? La risposta è sì, i diversi paesi americani hanno mantenuto la commemorazione adattandola più o meno alla propria identità, ma sempre in una prospettiva di multiculturalità. Ad esempio: in Argentina è diventata la giornata del rispetto della diversità culturale che ha cercato di accentuare un carattere più inclusivo e meno colonialista, in Venezuela e Nicaragua ha una declinazione più rivendicativa e nazionale per esprimere una condanna esplicita dell'imperialismo e della guerra chiamando questa festa come Giornata della Resistenza Indigena, in Uruguay è la Giornata delle Americhe e in Perù è la Giornata dei popoli indigeni e del dialogo interculturale.
Fa ben sperare il proclama emesso da Biden nel 2021, sotto la spinta dei movimenti indigeni, che ha creato la Giornata dei Popoli Indigeni facendola coincidere con la festa dedicata a Colombo.
È chiaro che attualmente è in corso un controverso dibattito sulla commemorazione del 12 ottobre come data delle celebrazioni per la scoperta d’America. Per alcun* rappresenta un amaro ricordo di un presunto Genocidio. Per altr* invece è l’affermazione della propria eredità storico-culturale. Nel 1992, l'UNESCO ha ritenuto essenziale la costruzione di un resoconto storico che considerasse la memoria dei paesi colonizzati, ma allo stesso tempo che non perpetuasse “la leggenda nera” demonizzatrice della reputazione dei colonizzatori.
Pertanto, come ricordare questa data per renderla realmente rispettosa di ogni popolo?
Siamo realmente usciti da una logica di postcolonialismo? o viviamo ancora in un mondo dominato da un moderno colonialismo dove i colonizzatori sono i paesi “più sviluppati”?
Si dice che la prima volta che si parlò di paesi sviluppati e sottosviluppati fu nel 1949 durante il discorso di insediamento del presidente degli Stati Uniti Harry Truman. In quell’occasione Truman definì i paesi dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti d’America come “sviluppati” e li contrapponeva ai paesi dei continenti dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina che definì “sottosviluppati” e poveri spiegando come i primi avrebbero dovuto preoccuparsi di aiutare i secondi per superare la condizione di povertà. Tuttavia, ironia della sorte, questo discorso è stato pronunciato mentre l'Europa soffriva una delle peggiori carestie della sua storia essendo stata assolutamente impoverita dalla guerra. Ignorando il declino dell'Europa, Truman, sottolineava come gli ex oppressori erano ancora al comando e che l'inferiorità del resto del mondo non era messo in discussione. Alla fine, il vero obiettivo nel parlare di “sviluppo” o “sottosviluppo”, non era altro che riaffermare il predominio dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti d’America sulle ex colonie facendole assomigliare, sempre di più ai paesi ricchi, attraverso l’attuazione di politiche velatamente di sostegno umanitario. Tuttavia, molte di queste politiche nascondono strategie che favoriscono i paesi ricchi e i loro interventi nelle dinamiche relazionali dei rapporti tra i più poveri. Usare la parola “sottosviluppo” o in via di “sviluppo” nel nostro linguaggio quotidiano ha in sé il rischio per giustificare e convalidare una nuova forma di moderna colonizzazione, dimenticando gli abusi storici dei paesi oppressivi su paesi che fino a poco tempo fa erano colonie e ignorando così i danni che ne derivano e che ricadono di conseguenza sul mondo intero. I politici statunitensi hanno affermato che i paesi poveri sono poveri perché non sono disposti a pagare il prezzo dello sviluppo. Ma qual è il prezzo dello sviluppo? Assomigliare ai paesi ricchi? Rinunciare alla propria identità? Sarà forse l’inquinamento prodotto dai ricchi derivante dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali? Saranno forse le violazioni dei diritti umani per mantenere il dominio di una società basata sul consumismo? Che sfrutta la manodopera sottopagata dei paesi in via di sviluppo per permettere agli occidentali di mantenere il proprio tenore di vita?
Forse il sottosviluppo ha più di un volto e dobbiamo stare attent* a parlarne dimenticando ed ignorando gli effetti ed il volto del colonialismo storico.
Bibliografia essenziale:
http://latinoamericana.wiki.br/es/entradas/d/etnica-diversidade
https://www.galileonet.it/migrazione-dei-virus-europa-america/
http://latinoamericana.wiki.br/es/entradas/d/diversidad-cultural